INIZIARE

martedì 21 luglio 2015












Praticamente, come iniziare a scrivere una storia?

Ogni storia comincia con un'idea (o spesso con più di una).
Ma come trovare le idee e cominciare a formare una storia? 
Ogni libro di testo e ogni persona potrebbe suggerirti un metodo diverso.
Elenco quelli che secondo me sono i principali.

  -- Metodo SYD FIELD
A partire dai personaggi.
Crea il o la protagonista, il suo nome, l’età, gli hobbies, dove ha vissuto, dove vive, che lavoro fa, e pagine e pagine e pagine di dettagli, con particolare attenzione a quello che FIELD chiama “circolo dell’essere” cioè l’evento (traumatico) tra i 12 e i 18 anni circa, che ha definito quel personaggio.
E a partire da questo crea la tua storia.

  --  Metodo SOFIA COPPOLA
A partire da una situazione.
Chiedendoti cioè: “Come si è arrivati a questo punto?”
In un’intervista (fonte non confermata) sembra che abbia detto di partire da un’immagine o una situazione che la interessa e dalla quale costruisce poi la storia.
Questa è in vero un ottimo metodo poiché chiama in causa un processo chiamato Limitazione Creativa (del quale parleremo in seguito) e permette la produzione molto rapida di eventi e idee.

  --  Metodo PREMISE
Se il metodo SOFIA COPPOLA è deduttivo il PREMISE è invece induttivo.
E’ infatti lo sviluppo dell’idea a partire da: “che succederebbe se…?” Cioè da una premessa.
Es. Che succederebbe se un uomo di mezza età invaghitosi di una teenager decidesse di riappropriarsi della propria vita? (American Beauty) Che succederebbe se il mondo come lo conosciamo fosse solo un software creato dalle macchine? (Matrix) ecc.

  --  Metodo CORRELATIVO OGGETTIVO.
A partire da un principio.
Il correlativo oggettivo è in pratica una allegoria, una grossa metafora sotto forma di storia coerente. E’ la riduzione al particolare di un concetto generale.

Ad esempio, se il principio è: “La vera morte è accettare le idee sbagliate che la dittatura inculca coercitivamente nella mente delle persone”, allora la storia potrebbe essere:

Un insegnante spiega ad una classe di ragazzini che: due più due fa cinque.
Ma chiunque lo ripete comincia a star male sempre di più, più lo ripete.
Alcuni dei ragazzini ripetendo “due più due, cinque” cominciano a cadere svenuti. Ma un ragazzino alzatosi comincia a dire che due più due fa quattro.
L’insegnante cerca di riprenderlo urlandogli contro, ma senza effetto, così furioso estrae un’arma e spara verso il ragazzo.
Il ragazzo viene colpito, ma il proiettile non sembra aver avuto effetto, così il ragazzino continua a ripetere “due più due, quattro” di fronte all'insegnante incredulo. Adesso anche i suoi compagni cominciano a dire: “Due più due, quattro” e cominciano a stare meglio e lo ripetono a voce sempre più alta. L’insegnante, anche se visibilmente provato per aver ripetuto la somma incorretta, è fuori di sé e urla: “No! Due più due fa cinque--” e “AHH!” muore.

E’ un esempio stupido, ma spero che sia stato utile a chiarire cosa sia un correlativo oggettivo.

Il metodo del correlativo oggettivo è spesso usato nei cortometraggi o in quei film (spesso poco comprensibili) che vogliono comunicare un messaggio a tutti i costi.
In oltre comporta il grave rischio di essere predicatori.

Ma il correlativo oggettivo può essere usato in modo molto più realistico e assolutamente nascosto. E’ spesso, infatti, la sostanza delle scene ed è indispensabile per mostrare il pensiero di un personaggio.
Se ad esempio l’idea del personaggio è: “l’ipocrisia ti aiuta a sopravvivere”, potremmo mostrare un SOLDATO ascoltare la preghiera del commilitone morente e promettere che riporterà l’orologio che gli viene affidato al figlio che non potrà rivedere. E poi, lo stesso giorno, mostrare il SOLDATO rivendersi l’orologio del commilitone morto per del cibo.

La gran parte dei personaggi è in effetti il correlativo oggettivo di una singola idea.
Infatti i personaggi, a differenza delle persone reali, sono sempre dei singoli coerenti.
Per un approfondimento sui personaggi --> PERSONAGGI

  --  Metodo COME TI PARE
Magari preferisci trarre ispirazione dalle tue esperienze o usare il materiale che ti viene in mente quando sei sotto l’effetto di oppiacei. Forse ti limiti a riportare quello che ti detta la divinità che nascondi in camera da letto o, meglio ancora, utilizzi tutti questi metodi assieme; va bene. Basta che funzioni.


Usando qualcuno di questi metodi avrai a disposizione una certa mole di idee.
Ma le idee vanno organizzate. Come?


 RIT BASI
BASI

Leggi ...

DIALOGHI

martedì 7 luglio 2015


Cio’ che si dicono due o più personaggi.
O nel caso di una voce fuoricampo, ciò che un personaggio dice allo spettatore.

Per i dialoghi, più che soffermarmi sulla forma, bisogna invece parlare, almeno in linee generali, della loro funzione narrativa.


A COSA SERVONO I DIALOGHI?
Famosa la frase di Hitchcock: “scritta la sceneggiatura, si aggiungono i dialoghi e si gira”.
Quindi per Hitchcock i dialoghi avrebbero un’importanza più che mariginale? Probabile, ma l’intento di questa frase, più che di gettare scredito sui dialoghi, è enfatizzare l’importanza delle azioni e degli eventi sui quali la storia deve potersi reggere a prescindere dai dialoghi.
(Ma non ci sfugge che anche i dialoghi sono di per sé delle azioni e che a volte uno degli eventi principali potrebbe reggersi su una frase o una parola.)

A cosa servono dunque i dialoghi?

In ordine di importanza:
  • Muovere la storia in avanti (anche se è sempre preferibile farlo con le azioni);
  • Dare informazioni;
  • Caratterizzazione del personaggio;
  • Caratterizzazione dell’ambiente;
Quindi una buona linea di dialogo non è la trasposizione delle chiacchiere o dei discorsi che avvengono nella nostra realtà, ma è un elemento narrativo che dovrebbe ogni volta assolvere a tutte le funzioni suddette o almeno a un paio di queste.

NOTA:

I dialoghi non servono mai a rivelare i veri pensieri del personaggio e quindi il personaggio stesso.
Un personaggio potrebbe anche dire: “Io penso che…”, oppure “Ho l’intento di… “, ma abbiamo imparato a diffidare da quello che dicono le persone.
I personaggi si rivelano solo attraverso le azioni, o meglio attraverso le loro scelte.

Il comandamento è: Sei ciò che fai, non ciò che dici di essere.

--> Ma di questo ne riparleremo.

Comunque, per chi non volesse scrivere un film muto (sebbene si possa fare), queste erano le principali funzioni di un dialogo.


Spesso i dialoghi servono anche a caricare un concetto di significato, a creare una pausa lirica e ad altre funzioni che per adesso non occorre trattare.

PICCOLA PARENTESI SULLA VOCE FUORI CAMPO
Adesso che sappiamo che i veri pensieri dei personaggi non è opportuno rivelarli con il dialogo, viene da chiedersi a cosa serva la voce fuori campo.

Molti dei maestri per lungo tempo l’hanno disprezzata poiché riduceva un film ad un racconto orale con delle immagini di sfondo.
Ma la voce fuori campo trova posto nelle buone sceneggiature non raccontando la storia.

Infatti crea immediatamente una connessione empatica tra il personaggio e lo spettatore e spesso è un contrappunto comico o ironico che aiuta a rendere più facile e piacevole il fluire della narrazione.
I classici esempi sono: "Io ed Annie" (e diversi altri film di Allen), "Sunset Boulevard" e "American Beauty".


Molte di queste funzioni si sono evolute e sono state create grazie agli sceneggiatori.
Infatti una volta padroneggiata la tecnica potrete usare 
i dialoghi come vi pare e piace e magari trovarvi a dover creare per loro una nuova funzione.


E questo era il minimo da sapere sui dialoghi.




 RIT BASI
BASI
Leggi ...

DESCRIZIONI

martedì 7 luglio 2015

"Non una parola sprecata. Questo è stato il punto principale del mio pensiero letterario per tutta la mia vita."  -- Hunter S. Thompson

COSA E COME SCRIVERE

Chiunque vi dirà che per sceneggiare bisogna imparare a pensare per immagini.
Vero, e non è molto difficile visto che l’unico modo di immaginare delle situazioni è appunto immaginarle, cioè visualizzare delle immagini nella nostra testa.
Non altrettanto facile è con queste immagini costruire un umore, rivelare i pensieri e le sensazioni dei personaggi, eccettera, eccetera.


Infatti la descrizione è semplicemente quello che lo spettatore vedrà.


Il comandamento è: Non scrivere nulla che non si vedrà sullo schermo.


Su tutti i testi di sceneggiatura si sottolinea quanto lo stile debba essere minimale e impersonale.
E così deve essere. 

  • Niente doppi o tripli aggettivi; 
  • Nessun avverbio (piuttosto scegliere il verbo giusto); 
  • Niente ripetizioni;
  • Non dilungarsi con i dettagli;
  • Usare solo la terza persona e all'occorrenza il “si” impersonale.
  • Limitarsi all'essenziale (con "essenziale" si intende ciò che serve allo scopo narrativo).
Anche in questo caso esistono eccezioni e scelte stilistiche molto diverse.
Infatti, se a un estremo troviamo lo stile (perfetto) minimale di Woody Allen, all’altro estremo troviamo quello di Vince Gilligan (creatore di Breaking Bad), pieno di sensazioni personali, che si permette addirittura di fare battute comiche per il solo lettore (mi riferisco ad esempio al gioco di parole con “White House”, che sta sia per “Casa della famiglia White”, sia per “Casa Bianca” la dimora del presidente).

Con questo non intendo consigliare uno stile Gilliganiano (anzi lo sconsiglio), ma vorrei far capire come sia possibile arricchire uno stile asciutto di elementi personali e all'apparenza meno essenziali, che aiutino però a calare il lettore nella giusta atmosfera e a semplificare l'interpretazione del testo.


Per chi mastica un po’ di inglese rimando a "VIKY CHRISTINA BARCELLONA", di Woody Allen e al primo episodio di "BREAKING BAD". Così da cogliere l’enorme differenza stilistica.
Ma come esempi stilistici da seguire consiglio anche: "IL CAVALIERE OSCURO" (di C. Nolan), "ADAPTATION" (di C. Kaufman) e "AMERICAN BEAUTY" (di Alan Ball)


Per creare e perfezionare il proprio stile la migliore soluzione è leggere sceneggiature e scrivere.



--> Qualche esercizio mirato...




 RIT BASI
BASI
Leggi ...

INTESTAZIONI

martedì 7 luglio 2015
Le INTESTAZIONI indicano il luogo e il momento in cui si svolge la scena.
La SCENA è l’azione che si svolge in un certo arco di tempo, in un solo luogo.
Perciò ogni volta che si cambia luogo bisognerebbe scrivere una nuova intestazione per far cominciare una nuova scena, ma ci sono situazioni particolari che necessito di particolari soluzioni.
Questi sono alcuni accorgimenti che semplificano il lavoro.



Infatti oltre al normale:
es. ” 
INT. CAMERA DA LETTO -- GIORNO ”
e
es. “ INT. CASTELLO DEL RE - CAMERA DA LETTO -- GIORNO 
(Cioè dove viene specificato sia il luogo generale che quello specifico.)


Esistono anche:


INT./EST. LUOGO #1 / LUOGO #2 -- GIORNO
Nel caso in cui una scena si svolga simultaneamente in un interno e un’esterno.
E’ il caso di una discussione tra qualcuno che da dentro casa parla a qualcuno all'esterno o spesso quando due personaggi parlano al telefono.

INT. LUOGO #1 / LUOGO #2 -- GIORNO
Quando la scena continua e si sposta più volte da un locale ad un’altro.

INT. LUOGO #1 -- GIORNO (FLASH BACK)
Solitamente usare i flashback è il marchio dell’inesperto.
Infatti se la storia è ben strutturata non avrete bisogno di utilizzare i flash back per far ricordare al protagonista/pubblico cosa era successo in precedenza. Persino quando ne avrete bisogno potrete omettere la dicitura "flashback" in quanto sarà evidente dal contesto.
Ma almeno sapete come scriverlo, se dovrete.

MONTAGGIO
Preferibilmente nello stesso luogo in cui descrivete le azioni una dopo l’altra.

Oltre a questo a volte l’intestazione potrebbe riportare solo una voce come quando la scena è ambientata nello Spazio.


es. SPAZIO

O non specificare se è Giorno o Notte, poiché come ad esempio in un qualche sogno o sott'acqua potrebbe non essere chiaro, allora:

INT. LUOGO#1 -- INDISTINTO

______________________________________________________

E queste erano alcune precisazioni sull'intestazione.


Per approfondimenti 
leggete tutte le sceneggiature che trovate.



 RIT BASI
BASI
Leggi ...